Lapo Pistelli

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Archivio per novembre 3rd, 2010

Le elezioni di mid-term

Inviato da Lapo Pistelli il 3 novembre 2010

Le elezioni di Mid-term sono andate, più o meno, come nelle previsioni della vigilia.

Ma è proprio quel “più o meno” che ci permette di esaminare qualche dettaglio di una grande foto di gruppo che ha eletto lo stesso giorno 435 deputati, 36 senatori e 37 governatori.
Il pendolo politico ha riequilibrato il potere della Casa Bianca. Accade quasi sempre, era già successo a Reagan nel 1982, a Clinton per ben 6 anni su 8, a Bush nel 2006.
Il popolo americano ha un’idea così intimamente radicata che il potere debba essere limitato e diviso che ogni Presidente negli ultimi 20 anni ha dovuto fare i conti con un Congresso che, con le elezioni di mid-term, gli ricorda i propri limiti. Nonostante questo, quasi sempre, l’inquilino della casa Bianca è stato rieletto, talvolta con maggioranze ancora più forti. Se è vero dunque che Obama deve ascoltare il messaggio che il Paese gli manda – soprattutto i giovani e le desperate housewives che gli hanno girato le spalle, è sbagliato trarre auspici precipitosi sulle presidenziali del 2012.
Se Barack Obama è stato punito per essere stato troppo a Washington (troppo “romano” diremmo da noi) e avere mantenuto meno del previsto la promessa di cambiamento, egli da ora in poi avrebbe buon gioco a cambiare lato del campo e attaccare da fuori una maggioranza repubblicana che impedisce al Congresso di lavorare.
I repubblicani vincono un po’ più del previsto alla Camera (cambiano colore mentre scriviamo quasi 60 seggi, altro che i 39 necessari per avere la maggioranza), ma non fanno il colpaccio al Senato dove Obama tiene la maggioranza, come non era riuscito a Reagan, Clinton e Bush in analoghe elezioni.
Il “tea party” si conferma più come problema che come opportunità per i repubblicani. Se Rand Paul ha vinto in Kentucky così come il giovane Rubio è esploso in Florida, vanno invece sottolineate (così come i media le avevano gonfiate nei giorni scorsi) le performance imbarazzanti della O’Donnell in Delaware e di Joe Miller in Alaska. La prima, dopo una campagna di gaffes e strafalcioni non camuffabili dall’inesperienza, ha preso 20 punti di distacco da Coons. In Alaska, patria della madrina del tea-party Sarah Palin, per la seconda volta nella storia americana grazie alla regola del write-in, la candidata uscente Murkowski è stata rieletta, nonostante appunto il suo nome non fosse sulla scheda elettorale (poiché battuta alle primarie dal tea-party) e nonostante l’abbondanza di consonanti del cognome (non insomma, un John Smith qualsiasi). In definitiva, se il tea-party ha un buon candidato sul quale far convergere il voto indipendente bene; ma se il candidato è un estremista dello “Stato minimo”, scappano sia gli elettori indipendenti che i repubblicani moderati. E’ un monito per le scelte del 2012.
Alcune note sparse: Obama perde di strettissima misura il seggio senatoriale del suo Illinois (grazie anche al classico e inutile terzo canddiato verde), vince nel seggio vacante del West Virginia grazie al popolarissimo ma a lui ostile Joe Manchin, tiene il Nevada con Reid. Noi italiani festeggiamo il ritorno di un Cuomo (Andrew) nel ruolo di governatore a New York e piangiamo la fine del mandato di Nancy Pelosi come speaker.
In California, dove si è corsa la campagna elettorale più costosa degli ultimi decenni, politica batte economia 2 a 0: restano a bocca asciutta le due wonder women repubblicane: Jerry Brown conquista la poltrona di governatore (che fu di Schwarzenegger) contro Meg Whitman, ex amministratore delegato di Ebay; Barbara Boxer, veterana democratica batte Carly Fiorina, ex amministratore delegato di Hewlett Packard.
Un’ultima nota sui governatori. I repubblicani hanno strappato ben 10 posizioni (ma perdono l’importantissima California). Non è solo un dato statistico: i governatori eletti gestiranno le informazioni del censimento decennale 2010 per ridisegnare i collegi elettorali e riattribuire le rappresentanze territoriali in misura fedele ai cambiamenti demografici. Non saranno dunque due anni ordinari.
In conclusione, Obama aveva ripetuto all’infinito una battuta nei comizi degli ultimi giorni: “Abbiamo trovato la macchina nel baratro, l’abbiamo tirata su, l’abbiamo rimessa nella giusta direzione ed ora arrivano questi repubblicani, ci battono la mano sulla spalla e ci chiedono di nuovo le chiavi della macchina. Gliele dareste voi ?”.
L’America del riequilibrio di mid-term non ha riconsegnato le chiavi della macchina ai repubblicani ma ha fatto accomodare l’elefantino sul sedile davanti alla destra del guidatore.
Tocca ora ai due partiti, tocca alla politica, interpretare i messaggi contemporanei di delusione e di cambiamento che l’America ha depositato nelle urne.

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Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più

Inviato da Lapo Pistelli il 3 novembre 2010

“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più !”.
Ricordate Howard Beale nel film di Lumet, Quinto Potere ?
Correva l’anno 1976. Già, roba da vecchietti. Ed ora è tempo di giovanotti.
Ecco, sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più.
Sono incazzato nero. Ho abbandonato il blog quasi 9 mesi fa, alla vigilia di elezioni regionali segnate da candidati e liste farlocche, improbabili compleanni frequentati da primi ministri e cricche che rubavano il rubabile all’ombra del capo e dei suoi accoliti, oggi asserragliati e rancorosi nel loro bunker. Sostituisco il commento sul sito e ci sono grandi novità: si discute di bunga bunga, di igieniste orali ringraziate non con un mazzo di fiori ma con una poltrona in consiglio regionale, di minorenni cubiste extracomunitarie (che la Lega affonderebbe in mare prima dello sbarco) rilasciate da una Questura in barba ad ogni regola nel cuore della notte e ringraziate per i loro servigi con 7.000 euro in contanti (un bel rotolino di banconote da 500 euro).
Sono incazzato nero. Questo è davvero l’unico Paese in cui Rupert Murdoch, proprietario di Fox News in America – cioè della televisione che dice che Obama non è americano, è socialista e musulmano (ed è creduta da un quasi 25% di cittadini) – è per noi un faro di libertà con la sua Sky. Ho ascoltato per una settimana intera il tg1 delle 20, l’ammiraglia delle reti pubbliche, pagate con il canone. Fra “presunti”, “si dice”, fango mediatico”, “da confermare”, non ho capito di che si parlava. Se non comprassi giornali e mi limitassi a vedere il canale 1, potrei desumere che si sta cercando di sventare un complotto alieno contro il nostro amato premier. Ma a Washington, al Newseum, lo straordinario Museo dell’informazione, in un gigantesco pannello sulla libertà di informazione, il nostro è l’unico Paese dell’area Euro segnato in rosso, come il Magreb, come il Caucaso, come il Medio Oriente, nella lista dei Paesi “parzialmente liberi”.
Sono incazzato nero. Secondo l’osservatorio di Pavia sulla televisione, questa situazione è estesa da mesi e mesi su tutte le reti Rai e diviene – come dire – “scandalosa” (ma ci scandalizziamo ancora ?) sulle reti Mediaset. L’opposizione è cancellata. Nei talk show serali, la maggioranza si sceglie l’opposizione da invitare, e chiama più frequentemente l’Italia dei Valori (dura e acida, ma capace al contempo di spaventare i “moderati” e di irritare contro il Pd i “delusi”) o quei democratici che hanno sbagliato la direzione del mirino e si sono dunque guadagnati consenso e popolarità sparando sul proprio quartier generale.
Sono incazzato nero. Leggo sempre meno i giornali quando vedo che i cronisti politici sanno solo parlare di retroscena e posizionamenti interni, che ti osservano straniti con l’occhio della mucca che guarda il treno se gli parli di fisco, lavoro, giovani ed Europa, ma si eccitano all’istante se ammicchi ad una disputa sulla leadership del partito. Pago chiunque mi porti una foto di Berlusconi degli ultimi 10 anni con una mazzetta di giornali sottobraccio. Sarà un caso che non ne esistano ? E penso alla nostra leadership, da sempre piegata sotto il peso di voluminosi pacchi di carta e attenta ad ogni singola nota e retroscena. Dedicata a chi dice che la televisione non conta.
Sono incazzato nero. Visto dall’esterno e dall’estero, il mio Paese non è stato mai così in basso nella sua credibilità. Siamo simpatici, certo: Ferrari, food and fashion funzionano da Dio. Nella divisione internazionale del lavoro, ci è toccata la manna del cielo: abbiamo le Alpi, le Dolomiti ma anche le colline del Chianti e la Costa Smeralda; abbiamo il Colosseo e Pompei e il Vaticano e il Rinascimento di Lorenzo il Magnifico; abbiamo più varietà di formaggio della Francia e una serie sterminata di cibi meravigliosi. Ma qualche anno fa, nelle zone più sperdute del mondo (un po’ come nelle barzellette care al premier dell’esploratore fra i cannibali) mi dicevano “Baggio, Del Piero”; oggi in un villaggio delle isole Svalbard, il luogo abitato più vicino al Polo Nord, ho trovato un modellino di un motoscafo con un anziano riccone che spupazza due sirene ribattezzato dal venditore norvegese “io sono Berlusconi”.
Sono incazzato nero. Ogni indicatore ci dice che l’Italia arranca e scivola indietro. Che gli italiani si arrangiano come possono. Che vivono – come dirlo – prescindendo dal governo e dalle istituzioni, cioè dribblandoci come si scansa una gabella, un ostacolo, un peso aggiuntivo alle difficoltà che la vita riserva. Ma il Parlamento è sostanzialmente fermo da mesi. Lavoriamo pochissime ore ogni settimana, su temi irrilevanti. Quei pochissimi provvedimenti a firma Tremonti sono adottati con procedure lampo dal consiglio dei ministri e poi imposti al Parlamento con la fiducia. L’80% dei ministri amministra le tabelle di spese elargite preziosamente dal Tesoro, senza osare alcuna riforma. L’opposizione ha diritto ad una quota parte dell’ordine del giorno da discutere, ma il 20% di niente è purtroppo niente. E così anche noi ci arrangiamo inventando imboscate e diversivi per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Sono incazzato nero. Avanza la voglia di ricambio. Che sia. Ma ricordiamoci che il senso ultimo di ogni azione politica è valutare, dare un giudizio, scegliere, non applicare una tabella temporale come i tagli lineari di Tremonti (10% in meno a tutti, a chi ha troppo e a chi non ha). Perfino la Lega – tanto di moda nelle nostre chiacchiere sul radicamento – ha selezionato negli anni un gruppo dirigente di capaci e specializzati ed ha mandato a casa dopo un solo mandato gli imbecilli e i più impresentabili. Dobbiamo prendere lezione anche in quello ? O è meglio nascondersi dietro la regola dei mandati per non esprimere giudizi sulle persone e sul loro contributo alla vita politica del partito e del paese ?
Sono incazzato nero. Abbiamo succhiato talmente tanto veleno in questi anni e in questi mesi che ci siamo abituati al suo sapore. Ci spiegano tutti che già l’occidente naviga nella “low trust society”, nella società a bassa fiducia; che ci sfoghiamo riportando nei parlamenti di mezza Europa partiti giovanissimi e guidati da giovanissimi di ispirazione neonazista (applaus, applausi). Così come la stagflazione (parola troppo difficile) fa convivere in modo irrituale e pericoloso la stagnazione economica e l’inflazione, così noi facciamo convivere tutti questi fenomeni con la rassegnazione, l’abitudine al “tanto non possiamo cambiare”. E invece si può. Bisogna però metterci quella tenacia che mettiamo quando alziamo il bandone del negozio tutte le mattine, quando accompagniamo i figli a scuola, quando cerchiamo una fede vacillante, quando inseguiamo un amore che svanisce. Dobbiamo applicare alla comunità, a ciò che è di tutti (dunque anche mio) quella stessa ostinazione che mettiamo quando è in gioco qualcosa di solamente nostro.
Sono incazzato nero. Io non so se e quando cadrà questo teatro di maschere di cartapesta e di cerone, di battuttisti e incantatori, di pentiti e di smemorati. Ma so che una specie di CLN per uscire da questa notte oggi è necessario. Poi si vedrà. Poi, come già è accaduto, Togliatti e De Gasperi prenderanno strade diverse, e così Nenni e Saragat. Ma intanto cerchiamo di uscire da questa lunga notte della repubblica e del buon senso civile.
Sono incazzato nero. Se non lo facciamo per noi, per quelli la cui vita è stata oramai segnata dal ventennio del Signor B., almeno facciamolo per la prossima generazione.

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