Lo scenario politico, il Partito Democratico, le elezioni europee e le amministrative. 1^ puntata
Inviato da Lapo Pistelli il 11 maggio 2009
Lo scenario politico
Fra quattro settimane, gli italiani saranno chiamati alle urne per le elezioni del Parlamento europeo e per il rinnovo di un gran numero di amministrazioni comunali e provinciali.
Si tratta di un test politico di grande importanza poiché dopo un turbine di sondaggi sapremo finalmente il giudizio sintetico che il corpo elettorale esprime su un anno di governo Berlusconi, sul progetto del Pd, sui gruppi dirigenti locali, sullo stato di salute del progetto europeo. Tanta roba. Anche difficile da decifrare, appunto, in un giudizio sintetico.
Per questo ci dedicheremo a questa complicata vicenda in 4 puntate.
Secondo alcuni - e spesso la mia analisi o meglio il mio stato d’animo spinge in quella direzione - abbiamo di fronte il Berlusconi più forte degli ultimi 15 anni.
Molte sono le ragioni di questo rapporto di forze. Innanzitutto la concentrazione di potere politico, economico, mediatico ha toccato il suo apice e sembra che, al di là dei tentativi dell’opposizione, anche quelle parti dell’establishment economico, della borghesia italiana, della Chiesa, che una volta marcavano una distanza dal progetto berlusconiano abbiano, nella migliore delle ipotesi, tirato i remi in barca quando invece non manifestano una vera e propria infatuazione tardiva verso il leader della destra italiana.
In seconda istanza, è triste ma giusto riconoscere che la società si è mitridatizzata alle dosi di veleno progressivo che il berlusconismo ha inoculato nelle vene del nostro corpo: atteggiamenti, frasi, dichiarazioni che pochi anni fa avrebbero sollevato un sano sdegno, una capacità di reazione, quel classico “vergogniamoci per lui” - e che ancora oggi stupiscono qualsiasi osservatore o cittadino straniero abituato a ben altri standard politici - passano oramai nell’indifferenza generale ed anzi fanno parte del senso comune sullo sputtanamento della politica. Romano Prodi si tirò addosso una valanga di critiche quando disse, anni fa, che Forza Italia era tendenzialmente il partito di quelli che parcheggiavano in seconda fila e chiedevano sempre l’aiutino. Non disse mai il giorno dopo di essere stato frainteso e colpì per un linguaggio insolitamente diretto ma non era lontano dal vero. Poco importa ora che non ci sia primo ministro di un Paese del G8 che faccia parlare di sé per le veline in lista o per le feste a sorpresa con i collier di diamanti in tasca. Questa è l’Italia di oggi e il premier, quando non strapazza personalmente gli avversari, è comunque sempre scortato da una falange di picchiatori politici e mediatici che si incaricano sempre di spiegarti che un bel rutto in televisione è popolare e fa audience e che chiunque non si adegui a questo linguaggio è un aristocratico fuori mercato.
Matteo Colaninno, pochi giorni fa, mi diceva che è vero che in Italia manca probabilmente un Obama capace di suscitare speranza e cambiamento ma che forse un Obama in questa Italia, altrettanto probabilmente, perderebbe le elezioni.
Da ultimo, Berlusconi è forte perché sono più deboli i suoi avversari, cioè noi. Mentre il Pd è nato da un complicato processo di congressi e fusioni, il PdL è nato da un discorso su un predellino e si è concretizzato con ben maggiore rapidità e senza dispute sulla leadership, completando la transizione del centrodestra italiano in anticipo sul centrosinistra.
In proposito, il sondaggio Ipsos sul Sole 24 ore di due domeniche orsono scolpiva con chiarezza una condizione preoccupante di minorità dell’opposizione in tutti i segmenti sociali italiani, anagrafici, professionali, territoriali. Prendendola con ironia, veniva da citare l’eccezionale Michele Serra che concludeva un suo pezzo invitando a prendere atto che il centrosinistra è culturalmente minoritario e che comunque valeva la pena che questa “minoranza di persone per bene si facesse compagnia” in attesa di tempi migliori.
Secondo altri, e non si tratterebbe di un generico richiamo all’ottimismo, il ciclo berlusconiano è a un passo della sua conclusione. Tutti gli eccessi dell’ultimo semestre - vitalità ormonale, copie dei suoi discorsi vergati su pergamena e regalati ai congressisti del PdL - sarebbero il finale pirotecnico di un periodo che comunque volge alla fine, che esorcizza la crisi non comprendendola, che si è rivelato incapace di qualsiasi riforma di struttura indulgendo sui tasti di sempre (libertà dalle regole, sicurezza e immigrazione, case e condoni come volani della ripresa), puntando sempre - avrebbe detto Verga - alla “roba” del Paese, anche mangiandosi quindici anni di risanamento macroeconomico come in un tragico gioco dell’oca visto che il rapporto debito/Pil è tornato al 120% come nei primi anni 90.
Questo vicolo cieco si rivelerà presto, fra qualche mese, al momento della discussione sul Dpef, il documento che spiega le riforme da fare e le accompagna con l’indicazione delle risorse da spendere. Finita la finanza creativa, finita anche la fase delle riforme fatte con i soldi dei privati (dalle banche, alla sicurezza in outsourcing con le ronde, al “piano casa” con l’aumento fai da te delle cubature), si vedrà se il Paese è pronto ad ascoltare anche un’altra campana, meno squillante, forse troppo seria, però vera.
E qui entra in gioco il Partito Democratico, cioè noi. Ma di questo parliamo domani.
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