dromedario-sirte-libiaScrivo questi appunti al termine della visita-lampo con la delegazione italiana in Libia.
Prima l’incontro bilaterale con Berlusconi nella tenda in pieno deserto, con sfondo di dromedari, poi l’evento alla Jamayria, il grande Congresso del Popolo, un simulacro di parlamento in cui si celebra l’abbraccio fra la gente di Libia e l’amato leader, il colonnello Gheddafi.
L’occasione è lo scambio delle ratifiche del Trattato di amicizia, un atto che chiude (?) 40 anni di contezioso post rivoluzione, che riapre l’economia libica agli italiani i quali pagano il pegno all’occupazione coloniale: 5 miliardi di euro, 250 milioni annui per 20 anni in infrastrutture ed archeologia.

2000 persone in sala, fra queste una delegazione italiana con alcune vecchie glorie come Andreotti e Dini e qualche altro deputato che si è modestamente applicato alla materia come il sottoscritto. I libici hanno inteso non lasciare tutta la scena a Silvio, hanno ospitato Prodi ieri l’altro, hanno invitato con jet privato alcuni amici dell’opposizione per riconoscere un lavoro iniziato con Dini (quando era nell’Ulivo) con Prodi e D’Alema.
Lo dice Gheddafi però. Per Berlusconi la storia inizia e finisce con lui; nessun riconoscimento all’opposizione, una volta al governo. Ha fatto tutto lui, senza aiuto o consiglio. Siedo accanto ad un diplomatico che tiene il discorso del Silvio nazionale e ne sbircio il contenuto. Il premier lo ha imparato abbastanza bene, elogia Gheddafi mille volte (standing ovation della platea), celebra l’amicizia dei due Paesi, chiede perdono del tempo coloniale (sembra pentito come se fosse il nipotino di Italo Balbo in persona). Ma come un incontenibile dottor Stranamore, tre volte improvvisa e tre volte ooplà, riappare in tutto il suo magico splendore. Prosegui la lettura »

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