La tentazione sarebbe quella di scrivere a proposito della riforma Gelmini dell’Università o del piano varato dal governo di Dublino per tranquillizzare la tempesta monetaria europea o dei rifiuti di Napoli e del rifiuto del Nord di ospitarne parte.

La prima, comunque la si pensi, è divenuta occasione per misurare la febbre di un Paese che sta conoscendo ogni giorno focolai diversi di tensione sociale, non aiutati certo dalla strafottenza e arroganza con i quali vengono affrontati da chi ha responsabilità di governo. Il secondo tema sarebbe utile per lo meno ad alzare la testa dai nostri assilli nazionali e capire entro quale orizzonte naviga il Belpaese, il terzo per comprendere quale sia la situazione sottoponte.

E invece, ancora per oggi, riservandomi di tornare nei prossimi giorni su questi argomenti, mi dedico al sogno proibito di molti, all’incubo di altri, all’ologramma politico, all’araba fenice che comunque si è ritagliato il proprio spazio anche sulla carta stampata di oggi: il centro, il terzo polo.
Mi dedico al tema non per accanimento terapeutico ma per tentare di mettere ordine ai pezzi di un mosaico che ogni giorno configurano diverse immagini finali.

Partiamo dalla testa del problema: c’è uno spazio potenziale per un terzo polo autonomo nel paesaggio politico italiano di oggi ? La risposta, secondo me, è sì.

Dal 2008 al 2010, Pdl e Pd hanno lasciato sul campo circa 9 milioni di voti, 9 milioni di persone fisiche, di elettori, che non hanno tracciato la croce sulla stessa scheda di due anni prima. Non sondaggi, cittadini. Quei 9 milioni si sono in parte dispersi su opzioni minori, in larga misura si sono astenuti, delusi per il tradimento di quei progetti nei quali avevano confidato.
Il PdL ha dimostrato la propria improvvisazione, la difficoltà di superare le oggettive differenze fra soci fondatori con un discorso e un applauso, ma in ultima analisi paga la natura “non moderata” del suo leader carismatico, sempre più distante, per agenda, linguaggio, comportamenti pubblici e privati da un segmento sociale ed elettorale davvero moderato.
Il Pd paga un biennio terrificante segnato da conflitti interni, congressi e primarie laceranti, logoramenti continui della leadership, che hanno prodotto un calo di aspettativa e legittimazione del progetto originario, hanno ringalluzzito una concorrenza a sinistra che quotidianamente opera incursioni nel campo interno, hanno consolidato una “saggezza convenzionale” televisiva che irride ad un partito sbiadito, in bianco e nero, destinato a proseguire un ciclo elettorale negativo. Per quanto riguarda il “centro”, la tesi politica che ha segnato la piattaforma congressuale del segretario, l’idea di uno spazio da “delegare” ad altri con i quali allearsi poi, la contrazione dell’ambizione maggioritaria per coprire meglio il campo della “sinistra” tradizionale, ha di fatto aperto praterie politiche per fuoriuscite personali e abbandoni silenziosi.
Dunque, uno spazio politico c’è.

La seconda domanda: può il terzo polo giocare un ruolo strategico con l’attuale legge elettorale ? La risposta è no.
L’attribuzione del premio intero alla maggioranza relativa che esce dalle urne non consente realisticamente al terzo polo, qualsiasi siano i sogni e le aspettative di una esplosione elettorale, di competere per il primo posto. Perciò, un terzo polo autonomo con il mantenimento di questa legge elettorale è la garanzia della riconferma, per la quarta volta, di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
Alternativamente, potrebbe il terzo polo giocare un ruolo strategico se l’attuale legge elettorale eliminasse il premio di maggioranza per tornare ad un puro assetto proporzionale con soglia di sbarramento ? La risposta è sì.
A nomi cambiati, il terzo polo assumerebbe la funzione tenuta ai tempi della prima repubblica dal Partito Socialista di Bettino Craxi, il partito che governava a Roma con la Dc, negli enti locali (non sempre) con il Pci o Pds, reclamando sempre – in base a questa prassi dei due forni fra i quali scegliere dove cuocere il proprio pane – la guida dell’alleanza (Premier o Sindaco).

Proseguiamo il ragionamento: l’ipotesi del terzo polo accreditata dai commentatori (Casini, Rutelli, Fini, Montezemolo) condivide un progetto – non oso dire di contenuti, perché notoriamente in Italia questi contano poco – sulle alleanze future ?

E qui sale inesorabile una nebbia londinese.

Metto subito a margine – niente di personale – la questione Rutelli. L’ex leader della Margherita ha un disperato bisogno di rientrare in partita, di partecipare ad una foto di gruppo ma la cruda realtà dei numeri dice che l’Api non porta consenso né valore aggiunto, anzi, che nemmeno molti suoi stretti collaboratori hanno creduto nel progetto e che di questo gli altri protagonisti del terzo polo sono assolutamente consapevoli.

Servirà tempo per capire cosa frulla nel cervello di Montezemolo. Ho assistito ieri alla presentazione della sua Fondazione di alcune proposte dedicate al lavoro e ai giovani. Non un partito, ma più di una fondazione: hostess, magliette con logo, atmosfera yuppies (mi ricordava il primo Mariotto Segni) e anche qualche incontro (ma non farò nomi nemmeno sotto tortura) di improbabilissimi politici alla ricerca della verginità perduta. Ma mi pare evidente che Montezemolo intenda per ora giocare una propria partita autonoma, che tema di essere mangiato dal professionismo dei due leader finora non citati, che attenda il crollo del palazzo e la chiamata di popolo o di qualche partito più grosso che alzerà il telefono per invocare il salvatore e conferire le proprie truppe smarrite. Dubito che il popolo scenda numeroso così come dubito che il telefono squilli a breve.


E infine Casini e Fini. Ne abbiamo già detto e scritto. Anche la giornata di ieri mi consolida il dubbio che le partite si svolgano in campi diversi.

Fini – Urso stamattina – ripetono la richiesta di dimissioni anticipate del premier, prima del 14 dicembre, il rilancio di una diversa agenda di governo, il cambio di alcuni uomini chiave, cioè un diverso asse di guida e un diverso peso per Futuro e Libertà. Ma all’interno del centrodestra, non altrove. Lo chiedono a Berlusconi prima del 14, lo chiederanno a Napolitano dopo il 14, sia in caso di sfiducia, sia in caso di risicata fiducia. Il veto sul reincarico a Berlusconi è caduto.

Casini chiede più o meno le medesime cose, dichiara che voterà la sfiducia il 14, resta vago sull’ipotesi di un appoggio esterno se Berlusconi si rimettesse pesantemente in gioco, ripete che la propria meta è comunque il superamento della legge elettorale con il premio di maggioranza e un sistema che superi il bipolarismo.

Dunque dove è il terzo polo ?
E’ tattica
per ottenere intanto le dimissioni al buio di Berlusconi ?

Per staccarlo da terra, come fece Ercole con Anteo, al fine di privarlo della propria forza ?

Per fiaccarne la resistenza e negoziare poi da posizione di forza maggiore ?

Questa è la speranza di una buona parte del Partito Democratico e di altri pezzi del centrosinistra.
Se questa ipotesi venisse vanificata, tutto potrebbe finire con un governo Berlusconi bis diversamente articolato e una stabilizzazione della legislatura o con un rush elettorale che ci lascia senza riforma elettorale e senza alleati al centro.

Il mio dubbio, in questa fase di tattica esasperata, è quello di avere puntato su un solo scenario, un piano A senza alternative.
Sarà il tempo, galantuomo inesorabile, a fornirci le risposte che attendiamo.

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