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A proposito delle opposizioni

I quotidiani italiani aprono oggi tutti sulla stessa notizia, la nascita del terzo polo. Ad essere sinceri, dovremmo parlare di ri-ri-rinascita poiché, come si conviene nella politica domestica, mai parto politico fu così tante volte annunciato e replicato.
Perché allora tanta enfasi ?
Siamo davanti al primo frutto avvelenato della vittoria parlamentare di Berlusconi. La gioia, non trattenuta dal premier, della “lezione” inflitta al nemico Fini, gli annunci di una incipiente campagna acquisti invernale tra i banchi di Fli e Udc destinata a stabilizzare la maggioranza, ha prodotto meccanicamente il rinsaldarsi dei centristi che hanno da subito una prima rilevante missione: salvare Fini dal rischio di sfarinamento del suo gruppo dopo la sconfitta subìta. Ancora una volta – è un tema che si ripete negli anni – l’anomalia di Berlusconi produce una modifica dello spazio attorno a lui, provoca azioni e reazioni speculari. Ti dico che sei morto prima di nascere ? E allora io forzo i tempi della nascita per smentirti.

La formalizzazione di un accordo di consultazione, fra qualche mese magari un logo elettorale comune, costringerà i centristi ad un’unione tattico-strategica che fino ad oggi non esisteva. Troppo presto per sapere fin dove si spingerà e con quali esiti. Ho già scritto che uno spazio elettorale di insoddisfazione prodotta da uno zoppicante bipolarismo sicuramente c’è. Che Fini Casini e Rutelli, un po’ Qui Quo Qua, leaders in cerca di popolo, riescano a soddisfare questa domanda con l’attuale legge elettorale è invece tutto da dimostrare.
Se un consiglio gratuito, un commento, un suggerimento è ammesso, credo che sarebbe ora il momento per Fini di lasciare la Presidenza della Camera e lanciarsi pleno jure nella battaglia politica. Specie dopo l’annuncio di un passaggio all’opposizione e dopo il voto di martedì, sarebbe a mio avviso una mossa utile nel processo di ricostruzione del sistema politico.
L’umore nelle fila dell’Italia dei Valori è decisamente down. Non desidero rincarare la dose anche se non ci era mai sfuggito il criterio casuale di reclutamento degli eletti che Di Pietro adotta, non da oggi, nelle elezioni europee, nazionali e regionali. Con meno enfasi e minori danni, la penisola e i suoi governi locali sono pieni di Scilipoti meno famosi. Spero solo che l’umore più dimesso non passi presto e che il rapporto fra Pd e Idv possa essere rifondato rinunciando una volta e per tutte all’argomento scivoloso e avvelenato del “come si fa la vera opposizione”.
Per quanto ci riguarda
, ad oggi, alla vigilia di Natale, mentre sono tutte aperte le valutazioni sul calendario che ci aspetta, sui tempi necessari per i decreti attuativi sul federalismo, sugli esiti del Consiglio Europeo di oggi sul nuovo Patto di Stabilità, sulle finestre elettorali praticabili nella primavera 2011, suggerirei due atteggiamenti complementari.
Da un lato, la tregua del dibattito interno, specie quello abbastanza sterile ben rappresentato dalle interviste di giornata di Beppe Fioroni che spiega a battute, il giorno dopo, perché abbiamo sbagliato tutto il giorno prima; o l’accanimento oramai patologico sulle primarie, da qualche mese a questa parte ridotto a luogo dove “contarsi per contare”, cioè non destinato a competere per una posizione, ma usato per mettere sul tavolo un peso di interdizione che permetta di negoziare qualcosa su tavoli successivi. Dall’altro, la necessità di far sentire una nostra voce unitaria e forte sui temi caldi di questo inverno, la crisi, il lavoro e la giovane generazione, lo sblocco delle rigidità sociali che congelano le nostre comunità. Insomma, una campagna tematica e serena che competa per la cosiddetta “agenda setting”, cioè per la leadership nell’indicare i temi sui quali l’Italia dovrà discutere. La prima vittoria politica è sempre quella di chi impone l’ordine del giorno. In altri tempi subimmo l’agenda della sicurezza e dell’immigrazione; domani non subiamo quella dei “traditori” e della “democrazia ribaltata”. E’ l’unico modo per aprire davvero la fase nuova che il Paese attende.

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Countdown -2: la lunga vigilia

Innanzitutto mi scuso per il silenzio di questi giorni. Vedo dal counter che avete continuato a verificare se il blog veniva aggiornato – e vi ringrazio di questo – ma, purtroppo, devo avere avuto l’ennesimo problema informatico ad aggiornare il sito dalla Grande Mela.

Ho appena finito di ascoltare Gianfranco Fini intervistato da Lucia Annunziata e devo confessare che si è trattato di una delle prime trasmissioni da diverso tempo utile a chiarire alcune nebbie che ci separano dal voto di martedì e dai giorni successivi.

Da giovedì a sabato, effetti del calciomercato anticipato, gli allibratori della fiducia avevano ricominciato ad accettare giocate sull’1, vittoria interna della maggioranza, seppur di misura.
Da ieri, e non per l’effetto emotivo della bella piazza vista assieme con il Partito Democratico, si ricomincia a giocare l’X 2, la vittoria esterna dell’opposizione.

Vale la pena di ribadirlo. Il ciclo politico del 2008 è finito, sia che la sfiducia passi di un voto sia che accada il contrario. Questa maggioranza, con questo capo del governo, può chiuderci l’aula a tempo indefinito poiché intanto non ha le condizioni politiche per discutere e approvare alcunché. E la consueta disponibilità di mezzi sussurrata dai “bravi” (manzonianamente) del capo, unita alla sua alterigia, non hanno prodotto gli effetti sperati.

Fini ha detto con insolita chiarezza due cose. Che da mercoledì mattina, Futuro e Libertà passa comunque all’opposizione (ergo, il voto sulla riforma Gelmini era un’ultima offerta di pacificazione); che chi vota la fiducia dando magari il margine decisivo di apparente sopravvivenza del Cavaliere si condanna proprio allo scioglimento delle Camere poiché questo sarebbe il disegno di Berlusconi dopo aver ricevuto la fiducia (a dispetto dunque della odierna saggezza popolare che associa la compravendita del voto alla durata della legislatura).
Una terza cosa ha detto Fini, stavolta fra le righe. Che la disponibilità a conferire un secondo mandato a Berlusconi (ipotesi non negata in assoluto) sarebbe (stata) possibile solo ove il Cavaliere si dimettesse domani, cioè prima del voto, riconoscendo la sconfitta, la fine della fase politica, la disponibilità a cambiare molto della sua impostazione. Se due settimane fa si trattava di un periodo ipotetico della possibilità (come si studiava a scuola), il tempo trascorso si è incaricato di trasformarlo in un periodo ipotetico dell’irrealtà. Berlusconi, domani, lancerà la sua ultima offensiva ma non si dimetterà.
Una quarta e ultima cosa va segnalata. Fini ha ribadito come la sua iniziativa politica si configuri come “un’opa”, un’offerta pubblico di acquisto sul centrodestra, una scommessa su un centrodestra diverso, non un cambio di perimetro. Da qui la disponibilità a sostenere, senza elezioni anticipate, una ipotesi che veda alla guida di un nuovo esecutivo una figura qualsiasi diversa da Silvio, purché di centrodestra.

Buone, o almeno decenti, notizie fino a martedì, dunque. Ma tanta incertezza dopo. Quando si renderà palese, come abbiamo scritto in queste settimane, che il cosiddetto “terzo polo” persegue strategie divaricate e che il Partito Democratico deve innanzitutto fare leva su se stesso e sul proprio orgoglio per cavarsi fuori dal paradosso che vede la maggioranza sbriciolarsi ma non vede l’alternativa decollare.

La manifestazione di sabato è andata molto bene. Senza iattanza, senza sbrodolate sui numeri, il partito ha mostrato una sua maturità, ha dato prova di unità in questo passaggio stretto. Fa male e sbaglia a non accorgersene chi continua a scommettere sul naufragio del quartier generale per accreditare se stesso. C’è un tempo, ed è questo, per rimettere le ambizioni personali un passo indietro e per contribuire con serietà alla vittoria di un progetto collettivo. Da praticare, non da declamare a parole. Se c’è profitto, ci saranno dividendi per tutti, innanzitutto per un Paese stremato e sfiduciato. Altrimenti, i naufraghi non si salveranno aggrappandosi alla forza delle onde.

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Countodown – 19: tutto quello che avreste voluto sapere sul terzo polo ma che non avete mai osato chiedere….

La tentazione sarebbe quella di scrivere a proposito della riforma Gelmini dell’Università o del piano varato dal governo di Dublino per tranquillizzare la tempesta monetaria europea o dei rifiuti di Napoli e del rifiuto del Nord di ospitarne parte.

La prima, comunque la si pensi, è divenuta occasione per misurare la febbre di un Paese che sta conoscendo ogni giorno focolai diversi di tensione sociale, non aiutati certo dalla strafottenza e arroganza con i quali vengono affrontati da chi ha responsabilità di governo. Il secondo tema sarebbe utile per lo meno ad alzare la testa dai nostri assilli nazionali e capire entro quale orizzonte naviga il Belpaese, il terzo per comprendere quale sia la situazione sottoponte.

E invece, ancora per oggi, riservandomi di tornare nei prossimi giorni su questi argomenti, mi dedico al sogno proibito di molti, all’incubo di altri, all’ologramma politico, all’araba fenice che comunque si è ritagliato il proprio spazio anche sulla carta stampata di oggi: il centro, il terzo polo.
Mi dedico al tema non per accanimento terapeutico ma per tentare di mettere ordine ai pezzi di un mosaico che ogni giorno configurano diverse immagini finali.

Partiamo dalla testa del problema: c’è uno spazio potenziale per un terzo polo autonomo nel paesaggio politico italiano di oggi ? La risposta, secondo me, è sì.

Dal 2008 al 2010, Pdl e Pd hanno lasciato sul campo circa 9 milioni di voti, 9 milioni di persone fisiche, di elettori, che non hanno tracciato la croce sulla stessa scheda di due anni prima. Non sondaggi, cittadini. Quei 9 milioni si sono in parte dispersi su opzioni minori, in larga misura si sono astenuti, delusi per il tradimento di quei progetti nei quali avevano confidato.
Il PdL ha dimostrato la propria improvvisazione, la difficoltà di superare le oggettive differenze fra soci fondatori con un discorso e un applauso, ma in ultima analisi paga la natura “non moderata” del suo leader carismatico, sempre più distante, per agenda, linguaggio, comportamenti pubblici e privati da un segmento sociale ed elettorale davvero moderato.
Il Pd paga un biennio terrificante segnato da conflitti interni, congressi e primarie laceranti, logoramenti continui della leadership, che hanno prodotto un calo di aspettativa e legittimazione del progetto originario, hanno ringalluzzito una concorrenza a sinistra che quotidianamente opera incursioni nel campo interno, hanno consolidato una “saggezza convenzionale” televisiva che irride ad un partito sbiadito, in bianco e nero, destinato a proseguire un ciclo elettorale negativo. Per quanto riguarda il “centro”, la tesi politica che ha segnato la piattaforma congressuale del segretario, l’idea di uno spazio da “delegare” ad altri con i quali allearsi poi, la contrazione dell’ambizione maggioritaria per coprire meglio il campo della “sinistra” tradizionale, ha di fatto aperto praterie politiche per fuoriuscite personali e abbandoni silenziosi.
Dunque, uno spazio politico c’è.

La seconda domanda: può il terzo polo giocare un ruolo strategico con l’attuale legge elettorale ? La risposta è no.
L’attribuzione del premio intero alla maggioranza relativa che esce dalle urne non consente realisticamente al terzo polo, qualsiasi siano i sogni e le aspettative di una esplosione elettorale, di competere per il primo posto. Perciò, un terzo polo autonomo con il mantenimento di questa legge elettorale è la garanzia della riconferma, per la quarta volta, di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
Alternativamente, potrebbe il terzo polo giocare un ruolo strategico se l’attuale legge elettorale eliminasse il premio di maggioranza per tornare ad un puro assetto proporzionale con soglia di sbarramento ? La risposta è sì.
A nomi cambiati, il terzo polo assumerebbe la funzione tenuta ai tempi della prima repubblica dal Partito Socialista di Bettino Craxi, il partito che governava a Roma con la Dc, negli enti locali (non sempre) con il Pci o Pds, reclamando sempre – in base a questa prassi dei due forni fra i quali scegliere dove cuocere il proprio pane – la guida dell’alleanza (Premier o Sindaco).

Proseguiamo il ragionamento: l’ipotesi del terzo polo accreditata dai commentatori (Casini, Rutelli, Fini, Montezemolo) condivide un progetto – non oso dire di contenuti, perché notoriamente in Italia questi contano poco – sulle alleanze future ?

E qui sale inesorabile una nebbia londinese.

Metto subito a margine – niente di personale – la questione Rutelli. L’ex leader della Margherita ha un disperato bisogno di rientrare in partita, di partecipare ad una foto di gruppo ma la cruda realtà dei numeri dice che l’Api non porta consenso né valore aggiunto, anzi, che nemmeno molti suoi stretti collaboratori hanno creduto nel progetto e che di questo gli altri protagonisti del terzo polo sono assolutamente consapevoli.

Servirà tempo per capire cosa frulla nel cervello di Montezemolo. Ho assistito ieri alla presentazione della sua Fondazione di alcune proposte dedicate al lavoro e ai giovani. Non un partito, ma più di una fondazione: hostess, magliette con logo, atmosfera yuppies (mi ricordava il primo Mariotto Segni) e anche qualche incontro (ma non farò nomi nemmeno sotto tortura) di improbabilissimi politici alla ricerca della verginità perduta. Ma mi pare evidente che Montezemolo intenda per ora giocare una propria partita autonoma, che tema di essere mangiato dal professionismo dei due leader finora non citati, che attenda il crollo del palazzo e la chiamata di popolo o di qualche partito più grosso che alzerà il telefono per invocare il salvatore e conferire le proprie truppe smarrite. Dubito che il popolo scenda numeroso così come dubito che il telefono squilli a breve.


E infine Casini e Fini. Ne abbiamo già detto e scritto. Anche la giornata di ieri mi consolida il dubbio che le partite si svolgano in campi diversi.

Fini – Urso stamattina – ripetono la richiesta di dimissioni anticipate del premier, prima del 14 dicembre, il rilancio di una diversa agenda di governo, il cambio di alcuni uomini chiave, cioè un diverso asse di guida e un diverso peso per Futuro e Libertà. Ma all’interno del centrodestra, non altrove. Lo chiedono a Berlusconi prima del 14, lo chiederanno a Napolitano dopo il 14, sia in caso di sfiducia, sia in caso di risicata fiducia. Il veto sul reincarico a Berlusconi è caduto.

Casini chiede più o meno le medesime cose, dichiara che voterà la sfiducia il 14, resta vago sull’ipotesi di un appoggio esterno se Berlusconi si rimettesse pesantemente in gioco, ripete che la propria meta è comunque il superamento della legge elettorale con il premio di maggioranza e un sistema che superi il bipolarismo.

Dunque dove è il terzo polo ?
E’ tattica
per ottenere intanto le dimissioni al buio di Berlusconi ?

Per staccarlo da terra, come fece Ercole con Anteo, al fine di privarlo della propria forza ?

Per fiaccarne la resistenza e negoziare poi da posizione di forza maggiore ?

Questa è la speranza di una buona parte del Partito Democratico e di altri pezzi del centrosinistra.
Se questa ipotesi venisse vanificata, tutto potrebbe finire con un governo Berlusconi bis diversamente articolato e una stabilizzazione della legislatura o con un rush elettorale che ci lascia senza riforma elettorale e senza alleati al centro.

Il mio dubbio, in questa fase di tattica esasperata, è quello di avere puntato su un solo scenario, un piano A senza alternative.
Sarà il tempo, galantuomo inesorabile, a fornirci le risposte che attendiamo.

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