Le discussioni parlamentari oscillano drammaticamente fra dibattiti sui massimi sistemi, con valori declinati con la lettera maiuscola e branditi come clave sulla testa degli avversari, e toni specialistici su singole branche della legislazione nazionale. Questa seconda modalità è la spiegazione più semplice del perché l’aula nel suo complesso si rivolge ad ogni votazione verso quei colleghi, seduti al cosiddetto “banco dei nove”, che col loro pollice, retto o verso, indirizzano i colleghi su come votare. Essere esperti di tutto non è possibile e nemmeno utile in base al principio di divisione del lavoro.

Lunga premessa, lo ammetto. Serve a giustificare la mia incompetenza rispetto alle cosiddette riforme del codice penale e di procedura penale e, ammissione più difficile, la mia incredibile noia davanti alla materia. Noia sì. Perché mentre in passato altre riforme, opinabili come tutte le riforme, avevano un’ambizione (“passeremo dal processo indiziario a quello accusatorio, saremo nelle aule di tribunale come i Perry Mason che vediamo in tv”), negli ultimi due anni solamente la lista dei nomi delle norme è testimonianza dell’abbassamento dell’asticella: lodo Cirielli, lodo Schifani, lodo Alfano 1, lodo Alfano 2, legittimo impedimento.

Un bric a brac del diritto, un taglio e cucito sartoriale che fa a pugni, anche per gli analfabeti del diritto, con quelle caratteristiche che ci raccontavano alla prima lezione del primo anno di università: la norma deve avere caratteristiche di generalità e astrattezza.

Quelle di cui parliamo da due anni sono sempre norme che portano un nome e un cognome, la taglia e pure il colore, abiti su misura come nello sketch tormentone di Ficarra e Picone a Zelig.

Io vorrei non essere anti-berlusconiano, non vorrei proprio parlare di un uomo che sento antropologicamente altro da me; aggiungo che desidererei batterlo nelle urne e non nelle aule giudiziarie anche se la magistratura lo individuasse con prove certe come il vero “mostro di Firenze”. Perciò non mi sento il destinatario delle prediche periodiche contro il centro sinistra arroccato sull’antiberlusconismo.
Ma purtroppo. Ma purtroppo il caso vuole che per ben tre settimane la maggioranza abbia inchiodato l’aula, la maggioranza, l’intero governo a discutere proprio su questa legge foto tessera che domani, ostruzionismo o non ostruzionismo, sedute diurne e notturne incluse, verrà approvata.

l'avvocato Mills

Dopo tre settimane, dopo decine di sollecitazioni, il ministro Alfano ha finalmente parlato nel pomeriggio: facondo ai talk show e ai telegiornali, muto come un pesce in Aula, ha preso la parola sull’articolo 3 e, leggendo un discorso preparato dagli uffici, ha spiegato che la prescrizione breve si applicherà a 15.000 processi circa in corso. Che questa cifra, che sembra grande, rappresenta lo 0,2% dei processi pendenti nei tre gradi di giudizio. Che tutti i casi sollevati dalla stampa in questi giorni – Parmalat, Viareggio, terremoto dell’Aquila – sono infondati poiché i reati sono di tali gravità che lo sconto della prescrizione conduce comunque a scadenze lunghissime (2030, 2040).

Premesso che il CSM non la pensa allo stesso modo, se è vero che 20 membri su 24 (non solo toghe rosse dunque) hanno bocciato la miniriforma, sorge – grande come una casa – la domanda scontata: ma se allora non siamo davanti ad una norma che colpisce l’ordinamento penale, che non ha effetti sui processi all’attenzione della grande opinione pubblica, valeva la pena di spendere un mese di lavoro per un solo, uno solo, processo del premier, e cioè sul processo Mills ?
La montagna della “riforma epocale” ha partorito un topolino. Ma è un topolino che, rosicchia rosicchia, farà l’ennesimo favore all’uomo che tiene prigioniera l’agenda politica del suo Paese.