Monthly Archives: settembre 2011

La Palestina alle Nazioni Unite

La Palestina alle Nazioni Unite

L’Italia è un grande Paese ma il Premier è oramai un paria della comunità internazionale. Capi di Stato e di governo fuggono gli incontri bilaterali, le conferenze stampa congiunte e le foto ricordo poiché è sempre in agguato il colpo di scena, il commento impronunciabile confidato magari al telefono con un sodale di vita notturna. Silvio Berlusconi è, più che un leader in scadenza, un leader scaduto. Ed è finita anche la favola del premier che da del tu al mondo alle Nazioni Unite: non più discorsi letti in inglese fonetico (cioè secondo pronuncia senza capirne il significato), non più servizi taroccati nei tg Rai che montano immagini di platee gremite e consenzienti accanto a quelle del Berlusconi sul podio. Il Primo Ministro italiano non sarà a New York, nonostante il Mediterraneo sia al centro di alcune decisioni.

Noi democratici diciamo la nostra sulla più rilevante di queste.

Il 20 settembre, salvo colpi di scena, il Presidente dell’ANP depositerà una risoluzione richiedente il riconoscimento dello Stato di Palestina e pronuncerà un discorso due giorni dopo. Se la risoluzione venisse depositata al Consiglio di Sicurezza per tentare il riconoscimento pieno, essa avrebbe bisogno di almeno nove voti favorevoli e nessun voto contrario da parte dei membri con diritto di veto, uno scenario reso già oggi impossibile dall’annunciato veto Usa. Se invece la risoluzione verrà depositata all’Assemblea, essa richiederà il sì di 129 Paesi, corrispondenti ai due terzi dei componenti. In tal caso, l’OLP passerebbe da “osservatore permanente” a “Stato non membro” (come è oggi il Vaticano), un riconoscimento che impegnerebbe solamente i Paesi che si sono pronunciati a favore ma non gli altri. Questo nuovo rango conferirebbe ai palestinesi una maggiore forza negoziale e permetterebbe loro di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, potendo così sollevare davanti ad essa singoli casi del contenzioso con Israele.

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Berlino e ritorno

Berlino e ritorno

Mentre si attende la deflagrazione delle intercettazioni relative alla Cancelliera Merkel ad opera del nostro Premier alla deriva, allego il link alla breve intervista rilasciata al ritorno dal bilaterale fra il PD e la SPD che oggi ha vinto le elezioni nella capitale.

http://www.youdem.tv/doc/216710/pistelli-grande-intesa-con-sigmar-gabriel.htm

La costruzione della nuova Libia

La costruzione della nuova Libia

Nessuno sa davvero se, quando e come il colonnello Gheddafi verrà catturato e nemmeno quali danni effettivi – nel diluvio di parole gonfie di odio e di retorica che ha riversato dai suoi nascondigli contro la nuova Libia – egli sia in grado di procurare nei prossimi giorni.

E’ un fatto certo che, nonostante le battaglie in corso per Sirte e Bani Walid, la Libia abbia girato pagina. E’ un fatto certo che l’Italia abbia fatto bene a non girare la testa dall’altra parte ma sia stata, pur con mille giravolte e contraddizioni, dentro la partita che la geopolitica e i suoi interessi nazionali le assegnavano.

Oggi sarebbe un errore, nell’ansia da prestazione che ha caratterizzato precedenti interventi militari, affrettarsi a dire «mission accomplished»: anzi, la qualità del lavoro e il metodo con cui esso sarà svolto nei prossimi mesi dal CNT e dalla comunità internazionale dirà molto, per un verso del futuro di quel Paese, per l’altro del messaggio inviato dai “vincitori” di oggi alle altre piazze arabe.?

Da un lato infatti, sembra essere scongiurato lo scenario “somalo”, la dissoluzione di un Paese già in sé caratterizzato da un’assoluta fragilità politica ed istituzionale. Dall’altro, essendo evidente come alcune primavere stiano diventando estate ma altre stiano precocemente virando verso l’autunno, il successo della costruzione di una nuova Libia potrebbe influenzare gli eventi nel resto della regione.?

Matti Atthisaari, ex primo ministro e negoziatore di fama, dettò qualche tempo fa alcune regole auree di buon funzionamento delle missioni internazionali. Fra quelle, si diceva innanzitutto che serve in ogni scacchiere un insieme di risorse economiche, intellettuali, politiche da destinare al post-conflitto pari almeno a quelle che si spendono nel conflitto e poi che costituisce un grave errore illudersi che la democrazia si costruisca e si concluda nel giorno delle elezioni.?

Questi due princìpi aurei mi paiono ancora più fondati nel caso della Libia per ragioni che possono sembrare perfino ovvie. Quando si accennava, negli anni d’oro del Colonnello, alla peculiarità nel panorama arabo del modello della Jahmayria, si usava una circonlocuzione per dimenticare la completa assenza di istituzioni, di garanzie democratiche, di pluralismo dell’informazione, di vitalità e di autonomia della società civile: in sintesi, davanti a noi non c’è la missione della “ricostruzione” della Libia ma la sua “costruzione”.

Molte perciò sono le questioni aperte in questa convulsa fase della vita del Paese: come uscire dallo stato di conflitto e avviarsi verso una normale transizione, chi rappresenta il popolo libico e in quali forme questa rappresentanza può essere organizzata, come far ripartire l’economia (non soltanto il traffico dei prodotti petroliferi), come comportarsi con i lealisti del regime e con Gheddafi in persona nel caso della sua cattura.

Il CNT ha elaborato una piattaforma politica, presentata alla Conferenza di Parigi, che pare abbastanza incoraggiante: una road map istituzionale anche ottimisticamente troppo rapida, la continuità dei contratti in essere, la consapevolezza di non dover ripetere gli errori irakeni sulla “de-baathificazione” accelerata di quel poco che rappresenta la vecchia amministrazione.

Credo, anche se non è mai superfluo ricordare le piroette e le scivolate della politica estera berlusconiana e le insanabili contraddizioni fra le componenti della maggioranza, che non sia così decisivo oggi fissare la gerarchia dei vincitori. Il protagonismo francese, elettoralmente utile a Sarkozy ma altrettanto fastidioso per la nostra sensibilità, che ha comunque coperto un vuoto lasciato da altri, può generare attenzione e commenti nell’immediato, ma l’amicizia vera con la nuova Libia si misurerà nella pazienza di chi si metterà a fianco di questo popolo con un progetto di lungo periodo.

Oggi è opportuno chiedere garanzie al CNT per la consegna di Gheddafi al tribunale Penale Internazionale per un processo equo che sfugga la tentazione della resa dei conti interna e sia in linea con le deliberazioni Onu; è opportuno fare tutte le pressioni affinché il movimento islamista armato non approfitti del caos odierno per guadagnare spazi di controllo della nuova Libia; è urgente cercare di tutelare – con lo scongelamento dei beni all’estero – anche i crediti delle piccole e medie aziende italiane (si parla sempre e solo di quelle grandi) che erano là impegnate. E a fronte di queste richieste, è indispensabile offrire bilateralmente e all’interno della missione europea tutto l’aiuto di cui siamo capaci per lo sforzo enorme di “nation building” che attende la Libia: il nostro atteggiamento, in genere meno cattedratico di altri, può essere particolarmente utile a riconquistare la fiducia dei libici. Ci aiuterà in questo anche l’ambasciatore Buccino Grimaldi, che lascia il Quirinale e si reca a Tripoli, segno che la garanzia offerta dal Colle non vale soltanto per le tempeste finanziarie che attraversano l’Europa, ma anche per questa nostra presenza internazionale.

Dato che la memoria politica è una risorsa in via di esaurimento, desidero infine ricordare le previsioni sulle “invasioni bibliche” che ci avrebbero colpito, le “onde migratorie” che Gheddafi ci aiutava ad impedire e che una sua caduta avrebbe riaperto. La realtà ci dice che non avvengono sbarchi da giorni, che nelle ultime settimane di Tripoli i lealisti imbarcavano gratis profughi e migranti come arma anti-europea, gli stessi che taglieggiavano i medesimi disperati fino a pochi mesi prima. La replica dei fatti è sempre molto più dura delle parole della propaganda.